I grassi e l'olio di palma: cosa si sa?

I grassi: quello che ci hanno sempre insegnato
Da tempo volevo scrivere un articolo sui grassi alimentari, argomento a me molto caro, dato che per tutto il mio percorso di studi, e anche dopo, mi è stato insegnato a limitarli, con la specifica di preferire sempre i monoinsaturi rispetto ai temibili grassi saturi. Per anni ho fatto diete il cui apporto di olio extravergine di oliva era quantificato in pochi cucchiaini al dì, pur di restare entro il famigerato 30% delle calorie totali giornaliere da apportare con i grassi, secondo le linee guida tuttora vigenti. Stesso discorso per carne, pesce e latticini: impossibile utilizzare parti diverse da magrissimi petti e prodotti scremati per far rientrare i conti nelle percentuali suddette (ma in università nessuno mi ha mai parlato di qualità e provenienza delle carni, del latte e del cibo in generale...).
Mi è stato insegnato a fare la guerra contro il burro, i grassi animali e i grassi vegetali ad alto contenuto di saturi, come l’olio di palma, che quindi nella mia mente è sempre stato un abominio della natura. Si riteneva (e molti lo sostengono ancora) che i grassi saturi promuovano l'aumento del colesterolo cattivo e quindi di tutto quel processo ossidativo alla base del danno endoteliale e delle malattie cardiovascolari.
Mentre con i carboidrati potevo sforare serenamente oltre il 50% dell’apporto calorico giornaliero, "tanto i cereali sono la base della nostra alimentazione".
E se invece si fossero sbagliati? Se ci fossimo adagiati su concetti ormai sorpassati?
Non è affatto facile affermare una cosa del genere, significherebbe rimettere in discussione decenni di scienza della nutrizione.
Eppure il dubbio viene, soprattutto leggendo la marea di studi (studi effettuati già negli anni ‘90!) che confermano quanto siano più problematici per il rischio cardiovascolare gli zuccheri che non i grassi alimentari (lo spiega molto bene l'articolo della collega Arianna Rossoni nel suo blog "Alimentazione in Equilibrio", facendo riferimento a questa metanalisi).

I grassi: quello che si sta sempre più affermando
A giugno dello scorso anno anche il Time parla de “la fine della guerra ai grassi”, avvalorando appunto la tesi che quarant’anni di restrizioni sui grassi negli Stati Uniti non hanno fatto abbassare l’incidenza delle malattie cardiovascolari, ma anzi queste risultano aumentate e con esse il diabete, indice che le cause siano da ricercare in altri nutrienti (es. i carboidrati). Il messaggio del Time è riassunto in un filmato e in una bella sintesi/traduzione dell’analisi curata dal Dott. Perugini Billi.
In sostanza, tutti quei "bei" prodotti industriali low fat, light, low calories, ecc ecc che tutt'ora spopolano nei supermercati, dai mille ingredienti e dal contenuto in proporzione maggiore in zuccheri, non hanno aumentato lo stato di salute degli americani, al contrario lo hanno sensibilmente peggiorato.
Un altro articolo ben fatto del New York Times parla de “il ritorno del burro”, in cui l’argomentazione non si limita semplicemente ai grassi saturi ma fa riferimento alla loro qualità e all’importanza della qualità del cibo in generale, individuando nei prodotti industriali il vero male del nostro secolo e invitando a un consumo più consapevole di “cibo vero” (ALLELUIA!). Queste conoscenze non risalgono allo scorso anno, ma già da tempo diversi studiosi sostengono che le linee guida vigenti sull'apporto dietetico di grassi siano troppo restrittive, scorrette e sorpassate.

I grassi: cosa succede se ne introduciamo troppo pochi o quelli sbagliati
Preoccupati ad evitare gli eccessi, molti professionisti della salute (anche io l'ho fatto per molto tempo!) rifilano diete con un apporto lipidico veramente basso, magari a pazienti che devono perdere molto peso e che quindi dovranno seguire una dieta scarsa in grassi per tanto tempo. Ma ci siamo mai soffermati a ragionare su quali possano essere le ripercussioni sulla salute di un prolungato apporto troppo scarso o sbagliato di grassi?
Gli effetti sono moltecipli e per nulla confortanti: si possono avere squilibri ormonali, disfunzioni sessuali, problemi dermatologici, infiammazione, disturbi a livello del sistema nervoso centrale che possono acuire o innescare problematiche psicologiche (turbe dell'umore, depressione e disturbi del comportamento alimentare) e carenze di tutte le vitamine liposolubili. Questo e molto altro ancora, perché i grassi sono molecole strutturali che entrano a far parte della composizione delle membrane cellulari e degli ormoni. Immaginatevi i danni a livello sistemico se cronicamente ne assumiamo troppo pochi con l'alimentazione. Ma non basta: è molto importante conoscere quali grassi assumere e in che modo. Per intenderci, l'olio di oliva non è la stessa cosa dell'extravergine di oliva, e un extravergine di oliva bruciato (cioè cotto oltre il suo punto di fumo) non solo perde la gran parte delle sue proprietà, ma sviluppa composti tossici. Gli oli raffinati, soprattutto quelli di semi, andrebbero evitati o tenuti sotto stretto controllo, perché di scarsa qualità e troppo ricchi in omega-6 rispetto agli omega-3 (il rapporto tra queste due tipologie di acidi grassi è fondamentale per controllare l'infiammazione). Il burro dovrebbe essere sempre chiarificato, meglio se di alpeggio. Tutti i grassi andrebbero correttamente conservati (buio, temperatura costante, no recipienti metallici o di plastica) e consumati il più possibile freschi per evitarne l'irrancidimento.

La questione dell'olio di palma
Bene, dopo aver messo in crisi parecchie mie “certezze”, ho ben pensato di approfondire una questione ancor più spinosa, e cioè quella dell’olio di palma, stimolata anche dalle recenti polemiche su questo grasso alimentare, che qualche mese fa sembrava universalmente riconosciuto come un pericolo per la salute pubblica. Parto a bomba da un articolo segnalatomi da una cara e saggia amica, che vi invito a leggere anche perché molto provocatorio (ma discutibilissimo sulle questioni economiche e di impatto ambientale, che volutamente non tratterò in quanto esulano dagli aspetti strettamente nutrizionali), in cui si afferma che ci hanno presi in giro: l’olio di palma non fa affatto male.
Continuo a curiosare in giro, non contenta tantomeno convinta della veridicità di quanto affermato nel suddetto articolo. E che ti vado a scoprire?
Beh, innanzitutto che dei tanti studi effettuati ce ne fosse uno in cui si dichiari che l’olio di palma fa più male di altri grassi! Addirittura ne trovo un paio in cui se ne attestano le proprietà benefiche (effetti antitrombotici, antiarteriosclerotici e anticarcinogenici). Quindi, sdoganati i grassi, in particolare quelli saturi, non ci sono studi che affermino che l'olio di palma nello specifico abbia effetti dannosi. Devo dire che la mia prima reazione è stata di fastidio e anche un po’ d’incazzatura…tipico di quando qualcuno infrange le tue certezze e ti rendi conto di non poter controbattere, perché non hai dati da presentare. E quelli che potrebbero esserci, sono invalidati da macroscopiche imprecisioni (spesso non si fa alcuna distinzione tra l’olio di palma raffinato e quello extravergine, detto anche olio di palma rosso, differenza che invece è altamente significativa e che li rende due prodotti profondamente distinti - vedi questo interessantissimo articolo che lo spiega e riferisce che l’industria per una lunga serie di motivi usa olio di palma raffinato, mentre è quello rosso il più benefico, ricco di vitamine A ed E). Se vi va di approfondire, vi consiglio caldamente anche la lettura dell’articolo del dott. Massimo Gentili, un biologo nutrizionista che affronta tutta la discussione sull’olio di palma in modo esaustivo e risponde proprio alla “guerra contro l’olio di palma” promossa in Italia a fine dello scorso anno dalla redazione de "Il fatto Alimentare".
Mi spiace citare tante fonti e rimandare ad altri articoli, ma se riportassi tutto quello che è emerso dalle varie letture ne verrebbe fuori un articolo lunghissimo e troppo specialistico, rischiando di perdere quella che è la mia finalità: fare una sintesi per arrivare al lettore che di queste robe non ne sa molto, e che ha bisogno di potersi fare un’idea propria per districarsi tra tanti messaggi contrastanti.

Come l'industria potrebbe sostituire l'olio di palma
Cosa fare quindi di questo benedetto olio di palma? Evitiamo i prodotti che lo contengono? E se le aziende lo sostituissero con altri oli, per esempio quelli di semi, avremmo prodotti più sani e di maggior qualità?
La risposta è: no.
Prima di tutto, l’olio di palma raffinato che usano le aziende per produrre dolci, biscotti, prodotti da forno e un’infinità di altre cose, è stato il rimpiazzo delle margarine e dei grassi idrogenati, precedenti perseguitati (e in quel caso, a ragion veduta!). Un sanissimo sostituto del palma sarebbe il burro, ma scordiamoci che le aziende facciano tale costosa e impopolare manovra sostitutiva (il burro costa e nell’immaginario popolare è la morte fatta a panetto, questo per colpa di noi professionisti della salute, che per decenni lo abbiamo maltrattato). Figurarsi se utilizzerebbero il carissimo olio extravergine di oliva!
Per cui la fine sarà che si passerà dalla padella alla brace, e cioè che ci ritroveremo oli di semi vari raffinati negli ingredienti dei tanto cari prodotti industriali, con un impatto ben peggiore sulla salute rispetto all’olio di palma (gli oli di semi, che hanno un alto contenuto di polinsaturi del tipo omega-6, sono molto instabili e promuovono l’infiammazione alterando la corretta proporzione omega-3/omega-6). Tra l'altro, anche dal punto di vista ambientale non sarebbe un vantaggio, in quanto la resa per ettaro degli oli di semi è di gran lunga inferiore a quella dell'olio di palma. Questo significherebbe che, per produrre la stessa quantità di olio con cui sostituire il palma nei vari prodotti industriali, servirebbero terreni almeno 3 volte più estesi, con effetti ancora più devastanti in termini di deforestazione (a tal riguardo ho trovato un interessante lavoro di un agronomo tropicalista, in cui è esposto il problema della produzione degli oli vegetali, non solo a scopo alimentare ma anche per la saponificazione).

Prodotti industriali e cibo vero
Ma, d’altra parte, se vogliamo un abbondante pacco di biscotti a 2 €, mica possiamo pretendere che si usino ingredienti costosi, che le aziende mica pensano alla natura, alla pace nel mondo e alle famigliole felici e sane che parlano con le galline: le aziende devono vendere il più possibile e guadagnare abbattendo i costi di produzione. Poi gli effetti si vedranno tra svariati anni e allora ci si penserà, nel frattempo il fatturato sarà assicurato. Ma tralasciando gli aspetti economico-complottistici, che tentavo di non includere nella mia dissertazione, tornerei invece alla bella riflessione del New York Times di cui vi accennavo sopra, che metteva in risalto quanto, al di là della filosofia alimentare abbracciata, quello che più conta per stare in salute sia tornare a mangiare il cibo vero, il cibo fresco, il cibo meno trattato industrialmente possibile e di elevata qualità (e nel cibo industriale va inclusa tutta la carne e i derivati prodotti da allevamenti intensivi, così come tutti i prodotti industriali biologici - cracker, biscotti, fette e preparazioni varie, di cui vi invito a leggere sempre la lista degli ingredienti! Non sempre "bio" è sinonimo di "sano"!). Senza scivolare in comportamenti ortoressici o utopistici, non mi aspetto che i cibi industriali spariscano totalmente dalla nostra alimentazione perché ritenuti velenosi, ma mi augurerei che fossero significativamente meno presenti di quello che sono attualmente, affidandoci, come giustamente suggerisce il dott. Gentili, al “buon senso”. E, più in generale, sarebbe salvifico (per la salute e per l’ambiente) ridurre il quantitativo di cibo che acquistiamo e con cui riempiamo le nostre dispense e frigoriferi.  Meno cibo, ma di maggiore qualità. E non spenderemmo molto più di prima.  Risparmiando di certo in cure mediche.
Il problema è davvero l’olio di palma o la miriade di altri ingredienti che mediamente un prodotto industriale contiene? O tutto il lungo processo che il prodotto subisce e che può alterare la qualità delle materie prime utilizzate?
E’ davvero l’olio di palma a rendere nocivo un prodotto industriale oppure è il prodotto in sé ad essere cibo spazzatura?
Meditate gente, meditate. 

In conclusione: take home message
Questa dissertazione non vuole essere un invito a iniziare a pasteggiare con panetti di burro accompagnati da olio di palma rosso bevuto a garganella.
Piuttosto è una finestra critica che vuole andare controcorrente e aprire gli occhi su come stanno le cose, al di là di facili polemiche scatenate più per altri scopi che non il puro interesse a proteggere la salute della popolazione. E' un invito a smetterla di ragionare in termini di calorie e percentuali, per soffermarsi invece più sulla qualità di quello che portiamo in tavola.
Il modo in cui ci alimentiamo deve essere il più possibile equilibrato, il che non significa affatto riempire il carrello di prodotti "light" o "diet" e mangiare tutto scondito.
Proprio all'insegna della moderazione, è molto scorretto abusare di un alimento perché ritenuto sano o addirittura dalle proprietà "magiche", così come può essere controproducente privarsi del tutto di un altro alimento perché considerato tossico. Questo non è il classico e pressappochista invito a "mangiare un pò di tutto che così si sta bene", ma a sviluppare un rapporto sano con l'alimentazione, che tenga il più possibile in considerazione le caratteristiche individuali.
Varietà, stagionalità, freschezza e qualità sono gli elementi cardine che dovrebbero sostenerci sempre nel momento in cui facciamo una scelta alimentare. 
E se d'ora in poi vi scapperà la mano utilizzando dell'ottimo extravergine di oliva, siate consapevoli che vi state solo facendo del bene.

 

La foto di questo post è di jim su Flickr