Le diete non funzionano

Perdita di peso assicurata, ma solo nel breve termine

Lo sapevate che mettersi a dieta è pericoloso? Che la maggior parte di quelli che intraprendono un percorso di dimagrimento, se raggiungeranno l’obiettivo, riprenderanno i chili tanto faticosamente persi? Non lo dico io e non vorrei mai ammetterlo dato il lavoro che faccio, ma purtroppo i dati parlano chiaro.
Ed è davvero paradossale che sia così, visto ormai il dilagare del “dieting” (cioè l’intraprendere delle diete periodicamente), una moda tanto in voga quanto sconosciuta nei suoi lati più oscuri.
Vi sarete accorti che al giorno d’oggi se non segui una moda alimentare sembra che tu sia uno sfigato. Ci s’incarnisce un’unghia e se ne trova la spiegazione nell’alimentazione. Ci si fa diagnosticare con metodi para-fantascientifici intolleranze di tutti i tipi. Tutti sono esperti mondiali di nutrizione e tutti ne sanno più di te, perché si sono informati, hanno letto “sull’internet” e ascoltato o letto il blog del naturopata di turno. Ma siamo davvero sicuri che questo aumentato interesse nei confronti dell’alimentazione sia foriero di positivi cambiamenti e di un’aumentata salute per tutti? Quale dieta è quella giusta? Quale vi aiuterà davvero a stare meglio e a ottenere il vostro fantomatico peso ideale? Un recente studio riporta un risultato molto interessante: tutte le diete funzionano, ma nel breve termine.
Significa che non ce n’è una più efficace di un’altra in termini di perdita di peso, e magari si perdono pure quei 10 kg che separavano dalla taglia desiderata, ma poi a distanza di più o meno tempo saranno ripresi tutti, con gli interessi. I dati parlano chiaro: chi nella vita in passato ha fatto delle diete ha maggiori probabilità (stiamo parlando di probabilità aumentate, non significa che la dieta sia causa diretta, unica e sufficiente) di essere in sovrappeso rispetto a chi non ne ha mai fatte. Se ci pensate bene non è mica molto positivo che una dieta vi faccia perdere anche 40 kg, se poi li riprenderete tutti e con qualcosa in più. La perdita ciclica di peso e il suo riacquisto generano una progressiva perdita di massa magra, con riacquisto di sola massa grassa. In pratica, si diventa via via sempre più fatti di grasso.

Il Dieting come possibile causa scatenante di disturbi alimentari 

Non solo, purtroppo: oltre alla fluttuazione del peso, vanno considerati i risvolti psicologici di frustrazione, senso di colpa e cattivo rapporto col cibo, innescati da un ciclico “mettersi a dieta”. In generale, più rigida e drastica sarà la dieta rispetto alle precedenti abitudini, più facile sarà il ritorno agli albori, in condizioni spesso peggiori di quelle di partenza. La mancanza di flessibilità incentiverà pericolosi comportamenti “o tutto o nulla”. La proibizione di alcuni alimenti spingerà a uno smodato desiderio degli stessi, molto più forte che se non si stesse seguendo un regime alimentare specifico. Mettersi a dieta, inoltre, è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di un disturbo alimentare. Bene, detto questo dovrei cambiare mestiere, visto che fare le diete nella stragrande maggioranza dei casi genera comportamenti disfunzionali e porta, nel lungo termine, ad avere un peso superiore a quello iniziale e tanti problemi psicologici in più. Invece, nel tempo, con l’esperienza e tanto studio, ho deciso di non cambiare lavoro ma di cambiare il modo in cui lavoro, perché credo che ci sia una possibilità di far star meglio le persone, se le si accompagna per mano lungo il duro percorso del cambiamento (cosa ben più difficile e complessa dell’imporre un rigido regime alimentare).  

Diete dimagranti e diete terapeutiche

È doverosa a questo punto una precisazione: stiamo generalizzando e da questo discorso esulano tutte quelle condizioni di salute in cui delle specifiche norme alimentari diventano salvavita. In determinati casi, infatti, consumare certi alimenti può seriamente compromettere la salute della persona (si pensi, per esempio, a un celiaco cui è proibito il glutine o un malato d’insufficienza renale che deve restringere proteine e alcuni sali minerali) che quindi va tutelata con norme più restrittive. Anche in questi casi, tuttavia, soprattutto se è una diagnosi tardiva (cioè la persona si è alimentata sempre in modo normale e a un certo punto della sua vita, magari dopo i 30 anni, scopre di soffrire di una patologia di cui non era consapevole, per la quale dovrà cambiare radicalmente stile di vita), è importante affiancare il paziente e aiutarlo ad accettare la nuova alimentazione, suggerendo ricette e, ove possibile, attuando modifiche graduali. Come già vi ho detto, tutto va ricondotto alla persona specifica ed è fondamentale personalizzare sempre le indicazioni dietetiche, perché l’impatto del cibo è diverso a seconda del soggetto. Fatevi sempre cucire su misura la vostra sana abitudine di vita.

Meno cibo e più attività fisica, ma non solo

Ma come mai è così importante, quando si decide di mettersi a dieta, personalizzare e curare al massimo l’aspetto comportamentale legato al cibo?

Di recente ho letto un bell’articolo in cui il dott. Rick Kausman, un medico australiano impegnato attivamente nell’ambito della salute e nell’approccio centrato sulla persona, contrarissimo al “dieting”, afferma chiaramente che dieta e attività fisica sono solo due pezzi di un puzzle molto più grande e complesso. Infatti, per lui è di primaria importanza educare i pazienti a prendere il controllo del proprio peso aiutandoli ad attuare nella loro vita dei cambiamenti graduali ma profondi e duraturi. Non si tratta quindi di imparare a seguire bene la dieta e diventare più attivi fisicamente, ma di affrontare il problema del peso in modo molto più organico, partendo dai meccanismi dei sensi di colpa che tutte le persone sperimentano non appena tentano una dieta e qualcosa va storto. Le persone generalmente incolpano se stesse e si sentono senza speranze, come se l’incapacità di seguire delle regole e quindi di dimagrire fosse loro connaturata e irrisolvibile. Come se il problema fosse un’insufficiente diligenza e non qualcosa di più complesso, legato al modo in cui hanno vissuto la dieta stessa, il peso corporeo e il rapporto con se stessi.

Salutismo o rigidità alimentare?

Un classico errore commesso sia dai terapeuti dell’alimentazione sia da chi intraprende una dieta è quello di creare dei tabu alimentari, cioè evidenziare tutto ciò che è “junk “e pensare di eliminarlo completamente, come se la barretta mars o le patatine fritte in sacchetto fossero cicuta (e lo sono, se ne mangiamo tutti i giorni). I divieti generano desiderio, e una volta infranta la regola il cibo negato sarà la valvola di sfogo preferenziale, ancor più che se non si stesse a dieta. Spesso diciamo ai pazienti di non tenere più in casa quel determinato alimento perché pericoloso. Ma non sarebbe forse più utile che il paziente imparasse a non abusare più di quell’alimento, pur avendolo occasionalmente a disposizione (magari si è bravi a non acquistare nulla di "junk", ma poi l'amico di regala qualcosa che non "dovremmo" mangiare)?
E’ molto più faticoso e difficile insegnare che il cibo fa bene o fa male in base a quanto ne mangiamo, a come lo abbiniamo, a come lo cuciniamo e a quanto frequentemente lo introduciamo, in associazione allo stile di vita condotto. Siamo letteralmente sommersi da claim salutistici, in cui ci è vietato mangiare questa o quell’altra cosa, quando anziché proibire sarebbe più corretto educare e spiegare cosa comporta il consumo frequente e abbondante di certi alimenti, e come sia invece possibile andare a una festa di compleanno serenamente senza mandare in malora la dieta per aver toccato anche pochissimo cibo non consentito o per i sensi di colpa.

L'importanza di affidarsi a mani fidate, competenti ed esperte

Se sentite l’esigenza di mettervi a dieta o il vostro medico ve ne ha segnalato la necessità, non improvvisatevi con letture su internet né con la dieta della zia. Prima di tutto, analizzate attentamente se è di una dieta che avete bisogno (magari trattasi solo di una rieducazione alimentare) e se è il momento giusto della vostra vita per affrontare un processo di cambiamento, perché è di questo che si deve trattare e non di una modifica temporanea.
Quindi, fatevi sempre seguire da un professionista certificato e serio e diffidate di chi vi vende soluzioni facili e veloci, promettendovi cambiamenti radicali o altamente localizzati del vostro fisico senza sudore, senza fatica e in pochissimo tempo. Una volta iniziato il percorso dietetico, stabilite un rapporto di fiducia e alleanza col terapeuta, parlandogli chiaramente: se qualcosa della dieta non vi sta bene chiedete modifiche e riadattamenti. Se sentite che è una dieta troppo complicata, fatevi suggerire delle semplificazioni. Se non capite qualcosa, chiedete chiarimenti. Pianificate i controlli come dei momenti di confronto in cui portare le difficoltà e farvi consigliare per trovare delle soluzioni, e non come dei banchi di prova, dove la bilancia è il gelido giudice della vostra bravura (altra cosa che merita una digressione: la bilancia restituisce solo dei numeri, che molto spesso non ci dicono nulla di davvero utile! Il nostro corpo è fatto di muscoli, ossa, grasso e acqua, e la bilancia non può dirci come si sono modificati i diversi compartimenti. Quindi non fissatevi mai su cosa dice la bilancia, ma piuttosto valutate il benessere percepito, una migliore comodità degli abiti e così via, perché il muscolo pesa molto più del grasso). Il terapeuta, se bravo e professionale, non starà lì per sgridarvi o togliervi il cibo di bocca, ma vi supporterà e motiverà, trovando insieme nuove strategie e soluzioni.

Le diete non funzionano? Si e possono essere anche pericolose, se intraprese in modo superficiale e se non adeguatamente personalizzate. 
Fate attenzione a non rendere lesivo per voi stessi un intervento che invece deve porsi sempre come migliorativo, a breve e lungo termine, della vostra salute psicofisica.

 

La foto di questo post è di di Elana Amsterdam su Flickr